Se avete avuto la fortuna di assistere alla crescita di un bambino, vi sarà capitato di osservare come nel suo sviluppo, le paure che costellano la vita di adulto insorgano in una forma molto elementare già nella prima fanciullezza. Gli elementi fobici della psiche di un bimbo, fatta eccezione per le angosce primordiali della prima infanzia (la disgregazione, la depersonalizzazione, la caduta nel vuoto, ecc.) si dimostrano presto molto dettagliate e ben congegniate. Generalmente la fonte di queste paure sono figure antropomorfe dalle caratteristiche anatomiche mostruose, marcatamente minacciose, appositamente designate per assolvere al loro intento malevolo: arrecare danno fisico o sottrarre il bimbo al genitore. Di caso in caso la figura può assumere un nome, una connotazione, o una storia diversa, tanto da essere assolutamente personale, esclusivo, e costituendosi come il "proprio mostro", oppure può ricalcare le forme dei beniamini della cultura cinematografica horror collettivamente condivise. L'universalità della sua presenza nelle fantasie infantili è indice di una precisa esigenza psichica e ci pone alcuni interrogativi. Sorvoliamo dunque sulle mutevoli forme di queste immagini angoscianti, sulle quali potrebbe essere illuminante una revisione della letteratura su folklore, racconti, miti e leggende. Soffermiamoci invece sulla dinamica e sulle qualità di questa angosciante figura di fantasia.Queste figure sono infatti caratterizzate da una qualità molto affascinante, e cioè la persistenza della minaccia. Quando un bimbo viene posto dinanzi a un elemento perturbante, ad esempio la minaccia di un’iniezione, o se cade maldestramente ferendosi, costui prova un senso di intensa paura che dura esattamente quanto il protrarsi della minaccia, o del dolore, o fino a che non sopraggiunga qualcuno a consolarlo. Nel caso invece della fantasia inconscia fanciullesca, la minacciosità del mostro sembra perdurare oltre ogni ragionevole tempo, come denotano il pelo ritto sulla schiena, lo sguardo vigile sul fondo del corridoio oscuro, o sotto il materasso, tanto da apparire slegata da qualsivoglia stimolo esterno, e incongrua con ogni plausibile irruzione di pensieri e ricordi spaventosi. Una stanza in penombra, una statua bizzarra su di un comodino, possono divenire la medesima dimora del mostro o una sua raffigurazione, ed esercitare un effetto angosciante duraturo nel tempo. Talvolta alcuni di questi spauracchi sopravvivono per stagioni nelle angosce del bambino, addirittura decenni. Si può arrivare a dire che fino al raggiungimento della piena adolescenza queste immagini terrorizzanti continuino a esercitare un sinistro potere e abitare la fantasia del bimbo. Vi è dunque una notevole differenza nella complessità del mondo di fantasia del bambino dei primi anni, che dipende in larga parte dalle reazioni somatiche e che dalla percezione di uno stimolo reale presagisce un dolore e ne prova paura, alla strutturazione di un'immagine interiore minacciosa che persiste nel tempo e che si arricchisce di caratteristiche, poteri, vicende, o addirittura un nome proprio, e che vive indipendentemente dagli episodi del mondo esterno, come accade invece nella seconda infanzia. La psicoanalisi interpreta tradizionalmente l'oggetto fobico come simulacro di aspetti rimossi/scissi della personalità, e quindi ripone in essi una funzione equilibrante nel bilancio del giudizio di sè, sollevando l’individuo dalla colpa di essere cattivo. Mi domando dunque se tale persistenza sia un fattore collaterale di una psiche in via di sviluppo che dunque necessita di uno stipo perenne del rimosso, o se ci sia altro. A mio avviso il mostro non esiste solo come sgabuzzino fantastico della propria distruttività, il mostro ha una funzione ancora più nobile: ci rende migliori. E non perché proiettando su di lui le emozioni ostili noi veniamo purificati dal male, ma perché il rapporto con lui è per noi un fattore di crescita. Esso si pone come antagonista, rendendoci protagonisti eroici della nostra vita. Il mostro è il portatore di valori avversi, contrari a quelli su cui si fonda la nostra educazione, e rivendicare la propria contrapposta inclinazione, conferma la nostra volontà di voler incarnare un ideale etico. Schierandoci nella fazione avversa alle oscenità del mostro, noi esprimiamo la nostra adesione a un progetto pedagogico su noi stessi. Inoltre combattere il mostro ci costringe ad aguzzare l'ingegno alla ricerca di strumenti, ritrovati, armi, pozioni, oggetti magici, in grado di aumentare la nostra potenza fantastica. La lotta con il mostro è indubbiamente una difesa verso gli elementi persecutori della propria psiche, ma ripropone in piccolo l'epopea dell'avventura dell'eroe, cioè diviene il campo di battaglia di una sfida per la crescita che non può essere spiegata unicamente quale cantuccio difensivo dalla dimensione perturbante della psiche. Nelle avventure contro i propri mostri, nel gioco di fantasia che spesso i bambini inscenano con amici e genitori e in cui impersonano l'eroe, il bambino pone se stesso in una contrapposizione dialettica che è il motore del percorso di crescita individuale. Che fare allora contro il mostro? Rinnegarlo nella fantasia? Sforzarsi di accoglierlo dentro sé come parte rimossa? A mio avviso la cosa migliore è accettarlo come nostro avversario e giocare contro di lui questa innocua fantasia del conflitto. Art by John Kenn Mortenes @johnkennmortensen
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Danilo RizziPsicoterapeuta, scrittore Archivi
June 2022
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